Nei primi anni duemila, quando mi sono trovata a dover scegliere l’argomento su cui svolgere la tesi di laurea, l’informatica quantistica (l’applicazione della meccanica quantistica all’informatica) era una disciplina quasi esclusivamente teorica: se ne faceva un gran parlare – dove quel “gran” va inserito nel contesto di una nicchia della nicchia della nicchia, ovviamente, quindi si trattava di qualche centinaia di persone in tutto il mondo – ma le applicazioni pratiche concrete erano ancora molto in là da venire.
Quel “là da venire” è arrivato: come avevo raccontato in modo abbastanza approfondito in questo articolo del 2016, ormai da qualche anno i computer quantistici sono fra noi, anche se per il momento si tratta di macchine complesse che possono funzionare soltanto all’interno di laboratori appositamente attrezzati. E a parte il fatto che a scriverlo (e a fare due conti sul passato e il presente della mia vita personale) mi sento un po’ passée, nonostante oggi non mi occupi più di computazione quantistica leggere notizie in merito mi emoziona sempre un po’.
Il salto di qualità è probabilmente avvenuto nel 2019, quando Google ha annunciato che il suo calcolatore a 53 qubit ha raggiunto la supremazia quantistica. Questo non è altro che un modo colorito di indicare che è riuscito a svolgere un compito impossibile per un computer classico, ossia un computer che non sfrutta le peculiari caratteristiche delle particelle microscopiche, le quali sottostanno invece alle leggi quantistiche – da cui il nome qubit per indicare l’unità fondamentale di questi calcolatori, in analogia con i più familiari bit. Se volete approfondire, lo spiega bene Leonardo De Cosmo in questo articolo uscito all’epoca sul sito di Le Scienze.
Nel 2006, quando Bollati Boringhieri ha pubblicato il libro tratto dalla mia tesi, Alla scoperta della crittografia quantistica, era già difficile far funzionare due o tre qubit senza perdersi dei pezzi per strada, figurarsi più di 50! L’informatica quantistica deve infatti fare i conti con le proprietà delle particelle quantistiche, che sono notoriamente difficili da mantenere stabili perché ogni minuscola influenza esterna è suscettibile di comprometterle in modo irrimediabile. Senza un minimo di stabilità, ovviamente, diventa molto difficile fare alcunché. Ma oggi si parla invece di macchine con centinaia di qubit, e addirittura potrebbe essere già arrivata la rivoluzione tecnologica che consentirebbe un salto ancora più spettacolare.
La startup QuEra (fondata da ricercatori di Harvard e del MIT) ha creato una piattaforma molto affidabile e auspicabilmente scalabile; come spiega questo dettagliato articolo di Siobhan Roberts uscito sulla MIT Technology Review, potrebbe non essere lontano il giorno in cui ci saranno computer quantistici a 1000 e più qubit che risolvono in tempi ragionevolmente brevi problemi talmente lunghi per i computer classici (migliaia o milioni di anni!) da essere considerati nella pratica impossibili. Dato che gran parte della crittografia usata per proteggere transazioni sicure (leggi: pagamenti on-line) si basa però sull’impossibilità pratica di risolvere problemi di questo tipo… Sono davvero curiosa di sapere che cosa succederà!
Immagine di copertina di Jr Korpa via Unsplash