L’era dell’informazione nella sua forma fisica sta tramontando. I percorsi più intangibili prosperano con velocità sempre maggiore a discapito della storia e della materia, che vengono lentamente erose e portate via dal vento. I nuovi media cambiano forma di continuo, privi dei pesanti vincoli della materia e della responsabilità della storia. Nel mondo tangibile, tutto ciò che ci resta è una materia congelata; ma nel mondo intangibile potrebbe rimanere ancora meno: assolutamente nulla.
Parola dell’artista newyorkese Brian Dettmer, scultore che, al posto del marmo tanto amato dai suoi predecessori più o meno illustri, ha scelto un materiale forse ancora più nobile: il libro.
La ricchezza e la profondità del libro sono rispettate universalmente, ma spesso passano inosservate in un’epoca in cui il monopolio della forma e dell’importanza dell’informazione tende a svanire con il tempo. Il libro è nato con funzioni che stanno mutando e la sua forma resta lineare seppure viva in un mondo non lineare. Alterando la forma fisica dell’informazione e spostando le funzioni preconcette, emergono ruoli nuovi e inaspettati. Questa è l’area in cui mi trovo a operare oggi: con opere di scavo e alterazione meticolose, muto o disseziono oggetti come i libri, le mappe, i nastri da registrazione o altri mezzi di comunicazione. Il ruolo del mezzo si trasforma e la ricontestualizzazione del suo contenuto fa emergere nuovi significati o nuove interpretazioni.
Le opere di Brian Dettmer sono bellissime ed eccezionali anche perché l’unica azione (auto)concessa è la rimozione: a differenza del modo in cui vengono costruiti certi splendidi libri pop-up a cui potrebbero assomigliare, l’artista non aggiunge nulla al mezzo di partenza, se non la propria straordinaria creatività.
Personalmente ho un rapporto molto carnale con i libri che possiedo, motivo per cui continuo a non comprare un lettore e-book e a correre sempre grandi rischi di overweight ogni volta che prendo un aereo. Piuttosto che sottolinearli (seppure a matita, e per di più con una matita a punta morbidissima) preferisco appuntarmi le cose altrove, l’idea di fare un’orecchia per tenere il segno mi provoca un malessere fisico e le rarissime volte in cui da giovanissima ho prestato un libro che ho amato e l’oggetto, per i motivi più disparati, non è ritornato in mio possesso, mi hanno convinto del fatto che almeno in questo ambito l’egoismo è per me di rigore.
Eppure, le sculture di Brian Dettmer non soltanto non mi disturbano per nulla, ma mi sembrano un omaggio particolarmente poetico alla tangibilità dell’oggetto libro in un’epoca in cui, a conti fatti, tutti noi ce ne stiamo volenti o nolenti allontanando sempre di più. Come se l’artista riuscisse, con una sua personalissima interpretazione, a liberare i contenuti racchiusi tra le copertine nel momento stesso in cui li espone in tutta la loro vulnerabilità.