Torino è la mia città da sempre. Qui sono nata, qui ho studiato, qui ho portato avanti gran parte dei miei progetti lavorativi e qui ho (quasi) sempre vissuto. Con buona pace degli americani, che ogni volta che sentono questo elogio alla stanzialità strabuzzano gli occhi increduli.
Fra l’altro, proprio per questi americani (e non solo per loro), fino al 2005 Torino era un’entità misconosciuta, e per localizzarla a seconda dell’interlocutore dovevo chiamare in causa la FIAT oppure la Juventus; con le donne era molto difficile, bisognava sperare che fossero appassionate di egittologia o piuttosto riferirsi alla capitale italiana della moda ubicata a 100 chilometri di distanza. La conoscevano praticamente soltanto i cattolici, grazie alla presenza della Sindone, gli appassionati di alpinismo e i parigini, probabilmente un po’ stufi di vedersela appioppare da alcuni come sorella minore.
Poi sono venute le Olimpiadi invernali del 2006 e, più recentemente, Marchionne, la General Motors e tutto quel che ne è seguito. Ora è un po’ più facile parlare di Torino senza doversi improvvisare geografi o sociologi, ma come scrivevo è cosa molto recente, ed è ancora possibile fare molta strada in termini di notorietà. D’altronde siamo sabaudi, e non ci piace poi così tanto stare sotto i riflettori.
Ad ogni modo, figuratevi la mia sorpresa quando ho scoperto che la mia città è legata addirittura a un metodo di classificazione! Esiste infatti la Scala Torino, un indice di pericolosità che riguarda asteroidi e comete la cui orbita potrebbe incrociare quella della Terra (i cosiddetti oggetti near-Earth, per gli amici NEO). Ok, non sarà famosa come la Scala di Milano, ma dato quello di cui si occupa c’è poco da scherzare.
Istituita nel 1999, la scala Torino (che emozione scriverlo!) combina in un unico valore la probabilità di un impatto con il nostro pianeta e il suo potenziale distruttivo. Si tratta di una scala analoga alla scala Richter per l’energia dei terremoti ed è graduata da 0 a 10: da nessuna collisione a una collisione certa, con conseguente catastrofe climatica globale (l’Armageddon dell’omonimo film).
Negli ultimi anni, l’oggetto celeste potenzialmente più pericoloso avvistato nei nostri cieli è stato Apophis: un asteroide dal diametro di circa 320 metri che ha conosciuto il suo quarto d’ora di celebrità nel 2004, quando secondo alcune stime la probabilità di una sua collisione con la Terra nell’aprile 2009 sarebbe stata del 3% (livello 2 della scala Torino). Negli anni successivi, l’analisi di ulteriori dati ha dapprima peggiorato di molto la situazione (livello 4: traiettoria ravvicinata, oltre l’1% di probabilità di una collisione capace di devastare un’intera regione) per poi – fortunatamente – farlo retrocedere a un innocuo livello 0. Attualmente, il rischio di collisione per i suoi due prossimi passaggi “radenti” (nel 2036 e nel 2068) è pari rispettivamente allo 0,000014% e allo 0,0005%.
Insomma, almeno per quanto riguarda Apophis, sembra che il grande impatto (il Deep Impact dell’omonimo film – e siamo a due) per il momento non ci debba preoccupare troppo.
Il nome Apophis, tra l’altro, ha un’origine curiosa che vale la pena di citare, perché tradisce la tradizione di nominare oggetti astronomici con termini legati alla mitologia greca: Apopi era uno dei nomi del dio egizio del buio e del caos, nome in effetti abbastanza appropriato per un corpo celeste in grado di creare scompiglio addirittura fra i tecnici della NASA. Ma i suoi scopritori, si seppe poi in un secondo momento, non erano sicuramente torinesi. Noi torinesi, infatti, abbiamo “il secondo museo egizio più importante al mondo dopo quello del Cairo”, o almeno così mi insegnò la mia maestra delle elementari, e avremmo potuto battezzare così il minaccioso asteroide grazie a una approfondita conoscenza del pantheon egiziano. Appassionati della serie TV Stargate, invece, gli scopritori di questa potenziale pericolosissima meteora (e siamo a tre!) hanno scelto il nome Apophis perché è quello del personaggio più cattivo, seriamente intenzionato a distruggere la Terra. Quando si dice nomen omen…