Il cervello non ha pregiudizi

Il primo passo verso una buona diffusione della cultura scientifica consiste nello sfatare alcuni stereotipi e pregiudizi che nel nostro Paese si accompagnano a una storica preferenza verso le materie umanistiche.

Il primo passo verso una buona diffusione della cultura scientifica consiste nello sfatare alcuni stereotipi e pregiudizi presenti non soltanto in Italia ma che nel nostro Paese, come è noto, si accompagnano a una storica preferenza verso le materie umanistiche. Il nucleo di idee preconcette che ha maggior peso e influenza nelle scelte dei giovani, sicuramente, è quello collegato ad alcune – presunte, come vedremo – differenze tra maschi e femmine.cervello maschile femminile

Senza volersi assolutamente addentrare in quelli che gli americani definiscono “studi di genere”, è tuttavia importante ricordare che alcune idee che dovrebbero ormai essere entrate a far parte del senso comune sono ancora frutto di fraintendimenti e interpretazioni scorrette – talvolta anche da parte della stessa, disattenta, comunità scientifica.

1. Dimensioni diverse del cervello = diversa “quantità di intelligenza”

Di idee preconcette sul cervello, oltre a quelle legate alle differenze sessuali, è piena la letteratura, ma il primo, vero stereotipo da combattere è tanto antico quanto radicato, e si basa su una differenza “dimensionale”: il fatto che un cervello sia più grande di un altro indicherebbe la sua appartenenza a un individuo più intelligente.

Si tratta di un’idea che risale almeno al diciannovesimo secolo, dal momento che fu il celeberrimo Paul Broca, lo scopritore del “centro della parola” all’interno del cervello (l’area oggi nota come area di Broca, per l’appunto, e situata nella terza circonvoluzione frontale), a portare all’attenzione del pubblico la differenza in peso di 150 grammi esistente tra un cervello medio maschile e un cervello medio femminile: i suoi dati, enunciati nel 1861, parlano di un cervello medio maschile che pesa 1 chilo e 350 grammi, a fronte di un cervello femminile il cui peso è, in media, pari a 1 chilo e 200 grammi. Broca, i cui risultati sono stati strumentalizzati anche da ideologi del razzismo, ne concluse che questa discrepanza sarebbe sì dovuta al fatto che le donne sono fisicamente più minute degli uomini, ma non tralasciò di notare che questa piccolezza era ovviamente legata anche alla loro inferiorità intellettuale.

E’ sicuramente interessante rapportare i dati raccolti da Broca al peso del cervello di alcuni uomini illustri la cui materia grigia è stata lasciata in dono alla scienza: se è vero che il cervello del matematico Carl Friedrich Gauss pesava addirittura 1 chilo e 490 grammi, quello di un altro scienziato sicuramente di non minore importanza, Albert Einstein, non pesava che 1 chilo e 230 grammi, ben al di sotto della media maschile.

cervello einstein
Il cervello di Albert Einstein, fotografato nel 1955

2. Donne multitasking – uomini non tanto

Un altro pregiudizio molto radicato e che ancora oggi si trova riproposto nei contesti più disparati risale a dati molto più recenti di quelli raccolti da Broca che emergono da una ricerca pubblicata su Science nel 1982 sulle dimensioni del corpo calloso. I circa venti cervelli oggetto dello studio erano stati conservati in formaldeide e mostravano, nelle donne, un corpo calloso più spesso che negli uomini. Dal momento che il corpo calloso è una struttura che collega gli emisferi cerebrali destro e sinistro e facilita la comunicazione fra i due, i risultati hanno portato alcuni a dedurre che il fatto che la donna sarebbe portata a fare più cose contemporaneamente sarebbe legato a una comunicazione tra i due emisferi più sviluppata rispetto a quella presente negli uomini. Ma tra studiare venti cervelli morti, conservati nella formaldeide, e studiare centinaia di cervelli vivi, in piena azione, c’è ovviamente una grande differenza. Le tecniche di imaging a risonanza magnetica messe a punto negli anni successivi hanno permesso di “vedere” il cervello in diretta mentre svolge le proprie funzioni, e gli studi condotti in seguito sul corpo calloso non hanno più mostrato alcuna differenza statisticamente significativa tra cervelli di uomini e cervelli di donne. La variabilità tra i sessi (e tra “razze”, se è per questo) è poco rilevante quando rapportata alla variabilità tra gli individui. In generale, ogni individuo ha una modalità molto personale di usare il proprio cervello per lo svolgimento di un dato compito, e cervelli diversi possono risolvere lo stesso problema con pari successo ma con strategie estremamente differenti, ossia attivando zone cerebrali molto diverse. Queste differenze tra individui sono personali, non catalogabili in gruppi distinti per genere, “razza”, colore di capelli o quant’altro, perché la variabilità presente all’interno di uno stesso gruppo potrebbe essere addirittura superiore a quella esistente tra un gruppo e l’altro.

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“People” di Anna Dziubinska via Unsplash

3. Uomini scienziati vs. Donne comunicatrici

E’ sempre questa variabilità tra gli individui che sfata un terzo mito, forse il più importante da prendere in considerazione in questa sede: il fatto che i ragazzi sarebbero più bravi in matematica e scienze, mentre le ragazze sarebbero più portate per l’apprendimento linguistico. Alla base di questo preconcetto, probabilmente, c’è uno studio del 1994 in cui 19 uomini e 19 donne vennero sottoposti a un test linguistico mentre il cervello veniva “guardato” tramite risonanza magnetica: gli uomini, nel rispondere alle domande, attivavano soltanto uno dei due emisferi cerebrali, mentre le donne attivavano entrambi. Negli anni successivi sono stati condotti studi analoghi su un totale di circa 700 individui: questi studi hanno confermato che la grande variabilità esistente tra individui spiega come mai nello studio precedente – in cui il numero di soggetti era molto piccolo – fossero state riscontrate delle differenze così pesanti; peccato però che tali differenze non fossero legate al sesso degli individui!

Anche i pregiudizi sul fatto che queste o altre apparenti diversità comportamentali abbiano un’origine biologica si sono rivelati negli ultimi anni del tutto infondati. Le differenze tra maschi e femmine che si riscontrano nello svolgimento dei test di comprensione logica e verbale emergono soltanto a partire dalla pre-adolescenza, una fase della vita in cui un giovane è già stato soggetto a influenze culturali ed educative di ogni tipo, che potrebbero – anche soltanto in linea teorica – superare di gran lunga il peso di un ipotetico vincolo di natura biologica. Tali differenze, tuttavia, vengono pesantemente modificate dal contesto in cui avvengono le richieste di svolgere determinati compiti. Numerosi dati documentano come il modo in cui un test viene presentato influenzi i risultati: lo stesso test sulla percezione spaziale in tre dimensioni, se proposto dall’insegnante come un’attività legata alla geometria, porta a risultati in cui i ragazzi ottengono in media un risultato che supera quello delle ragazze di un buon 10%. Se, per contro, il test è presentato come un esercizio legato alle attività artistiche, i risultati di ragazzi e ragazze sono statisticamente indistinguibili.

bambini pregiudizi

Famosa, al riguardo, è una ricerca portata avanti dalla Harvard University nel 1990 e ripetuta poi nel 2008. I dati raccolti nel 1990 su dieci milioni di studenti avevano mostrato che in media i maschi avevano risultati migliori delle femmine nei test di matematica, e alcuni avevano inferito che la “colpa” fosse del fatto che le ragazze avevano un cervello non adatto alla matematica. Peccato che i dati raccolti vent’anni dopo mostrino per ragazzi e ragazze risultati equivalenti. Nell’arco di vent’anni la biologia non cambia, ma l’educazione e la cultura sì, possono cambiare. Evidentemente, in questo caso sono cambiate abbastanza velocemente da consentire ai giovani dei tardi anni 2000 di non essere più influenzati da pregiudizi culturali nello svolgimento di determinati compiti.

Il ruolo dell’educazione è infatti assolutamente fondamentale per la crescita e lo sviluppo della persona; questa, che sino a poco tempo fa era una considerazione basata per lo più sul buon senso e sull’esperienza, è ora corroborata anche dai risultati scientifici e in particolare dalla caratteristica nota come plasticità cerebrale.

Un cervello in continua evoluzione

Il cervello umano è costituito di 100 miliardi di neuroni, legati tra loro da 1 milione di miliardi di connessioni; il 90% di queste connessioni non è presente al momento della nascita, ma si forma in seguito, durante la crescita del bambino. Ed è sul modo in cui queste connessioni si formano che la cultura e l’educazione giocano un ruolo assolutamente fondamentale – chi fosse interessato ad approfondire può leggere quest’altro articolo sulle peculiarità del cervello durante la pubertà e l’adolescenza.

Ma non soltanto il cervello si configura seguendo gli “input” ricevuti dall’esterno; la plasticità cerebrale, come se non bastasse, è una caratteristica che non varia sensibilmente con il trascorrere del tempo. Sono stati condotti esperimenti di ogni tipo, uno dei quali nel 2004 ha preso in considerazione un gruppo di ventenni a cui è stato chiesto di imparare a fare il giocoliere: nel corso dei 3 mesi necessari all’apprendimento i ricercatori hanno riscontrato, tramite la risonanza magnetica, un ispessimento delle regioni cerebrali che controllano le attività motorie e la vista, ispessimento che è poi scomparso in quei soggetti a cui è stato chiesto, nei 3 mesi successivi, di smettere di esercitarsi. Alcuni ricercatori si sono spinti ancora oltre e nel 2008 hanno condotto un esperimento analogo a questo ma su soggetti di circa sessant’anni di età. I risultati in termine di ispessimento della corteccia cerebrale sono stati i medesimi di quelli conseguiti con i ragazzi di vent’anni, dato che conferma il fatto che la plasticità cerebrale è indipendente dall’età anagrafica o,  altrimenti detto, che la capacità del cervello di adattarsi agli stimoli esterni non soltanto non è legata a differenze di genere, “razza” o quant’altro, ma è assolutamente universale e, al contrario di tante altre nostre caratteristiche, non ha alcuna tendenza a invecchiare.

Fotografia di copertina dell’artista Jeong Mee Yoon, di cui parlo in questo articolo