Non avrò più sedici anni. Non avrò più le versioni di latino (e questo lo posso accettare di buon grado) e non mi innamorerò più per la prima volta (e anche questo, se ci penso bene, non sono sicura di rimpiangerlo davvero). Il cervello dei ragazzi adolescenti, considerato retrospettivamente da un’ultra trentacinquenne, è un sistema in ebollizione fuori controllo; è una montagna russa di emozioni che ti portano, nell’arco delle due ore che separano l’intervallo dall’uscita da scuola, a provare un’alternanza-miscuglio di sconforto, felicità, estasi, desolazione, noia e rabbia.
Bene, tutto questo lo sapevo già per averlo vissuto e averlo impresso, più o meno indelebilmente, nella memoria. Ma i ricordi di quegli anni non sono neanche lontanamente altrettanto vividi dell’esperienza – e questo non vale, o almeno non nello stesso modo, né per i ricordi d’infanzia né per quelli legati a una fase più adulta – diciamo a partire dalla fine dell’università, per essere sicuri.
Grazie a un articolo comparso su Scientific American nel giugno scorso (sì, sono sempre indietro di qualche mese sulla lettura), finalmente credo di aver compreso il perché di tutto questo, ossia della girandola di emozioni incontrollabili allora e dello sbiadimento dei ricordi oggi.
Il cervello dei ragazzi, secondo le ricerche condotte dal professor Jay N. Giedd, è sorprendentemente diverso sia da quello dei bambini sia da quello degli adulti.
Fino a pochi anni fa, gli esperti ritenevano che gli unici cambiamenti di rilievo che avvengono nel cervello di un adolescente fossero dovuti a variazioni dimensionali. Se si considera la minima differenza esistente tra il volume del cervello di un bambino di sei anni e quello di un adulto (il primo è circa il 5% più piccolo del secondo), è evidente come fosse legittimo supporre che, a partire dai 12, 13 anni, la conformazione di quest’organo potesse essere all’incirca quella definitiva.
Studi come quelli condotti dal professor Jay N. Giedd hanno consentito di verificare che la maturazione del cervello dei ragazzi non è, come si pensava, legata a un aumento di volume, bensì a una crescita numerica delle connessioni neurali e a una fortificazione di quelle esistenti fra aree diverse. Ma non tutti questi cambiamenti avvengono simultaneamente, e tale particolarità, come vedremo, ha effetti piuttosto rilevanti.
Il cervello di un adolescente è caratterizzato da una significativa plasticità, quella capacità di rimodellarsi di continuo che rende possibile l’apprendimento. Mentre un tempo si pensava che la plasticità fosse una proprietà specifica dei primi anni di vita del bambino, oggi sappiamo che le cose non stanno così: i circuiti cerebrali si sviluppano già nel feto durante la gravidanza e possono continuare a cambiare nel corso di tutta l’esistenza.
Le immagini ottenute da Giedd con la tecnica della risonanza magnetica hanno mostrato che, durante l’adolescenza, lo sviluppo della materia grigia (termine tecnico, e non colloquiale, con cui si indicano strutture amielitiche come gli alberi dendritici, i corpi cellulari dei neuroni e certi tipi di assoni) non è costante in tutto il cervello, ma vi è un disallineamento temporale nella maturazione di certe aree deputate a svolgere compiti diversi.
Durante la pubertà, ossia tra i 10 e i 12 anni, l’esplosione ormonale provoca la maturazione del sistema limbico, responsabile delle emozioni e dell’istinto; la corteccia prefrontale, invece, si sviluppa più lentamente, e non raggiunge le condizioni tipiche di un cervello adulto prima dei 20 o addirittura dei 25 anni.
La corteccia prefrontale è deputata a varie funzioni: il controllo degli impulsi e delle emozioni, la capacità di pianificare e organizzare, l’interazione con i nostri simili e tutto ciò che si tende a chiamare il comune buon senso. Una caratteristica importante della corteccia prefrontale è l’abilità di formulare ipotesi e testare teorie, capacità favorita dall’evoluzione per la sua funzione protettiva, senza la quale, prima di agire, non saremmo in grado di immaginare (e valutare) le possibili conseguenze dei nostri comportamenti.
Quando riceve informazioni dal mondo esterno, di qualunque tipo esse siano, pertanto, un adolescente non le organizza e non le comprende nello stesso modo degli adulti. A causa del disallineamento temporale fra lo sviluppo del sistema limbico e quello della corteccia prefrontale, a sedici anni siamo letteralmente in balìa delle nostre emozioni, particolarmente intense a causa degli scombussolamenti ormonali legati a un sistema limbico in pieno rafforzamento, ma non siamo ancora in grado di controllarle appieno, per colpa di una corteccia prefrontale per così dire sottosviluppata.
Ecco perché non proveremo più quello che provavamo a sedici anni: perché ora che l’adolescenza è finita da tempo il nostro cervello è qualcosa di significativamente diverso, più equilibrato, che spesso non è nemmeno più capace di generare nei ricordi il subbuglio di emozioni urlate al megafono nella nostra testa – sempre nei momenti meno opportuni.
Tutto ciò, probabilmente, si riflette anche nella proverbiale frase che caratterizza il rapporto adulti – ragazzi: “Tu non mi capisci“. E non soltanto è perfettamente vero, ma è altrettanto vero che, se per magia mi ritrovassi davanti la me stessa di quando avevo sedici anni, non potremmo fare a meno di dirci l’un l’altra esattamente la stessa cosa.
Copertina: foto Teenagers running © Joey Zanotti via Flickr