Il senso del numero

Il concetto di sesto senso è stato tradizionalmente associato a capacità cosiddette paranormali, come la telepatia o la chiaroveggenza; ma al di là di queste attribuzioni con scarsi riscontri scientifici, quali caratteristiche devono essere soddisfatte perché sia possibile porre una certa abilità sullo stesso piano dei cinque sensi?

Uno dei film che ho amato di più negli ultimi anni, purtroppo, non è mai uscito in Italia. Si tratta di Perfect Sense, e vede protagonisti Ewan McGregor ed Eva Green (bravissimi e bellissimi – è adatto ad ogni tipo di pubblico, in quel senso…). Guardatelo, magari cercandone un’edizione sottotitolata se non siete così sicuri del vostro inglese, perché ne vale davvero la pena; ma soprattutto non cercate il trailer, perché è orrendo e secondo me rovina un po’ l’effetto della trama (motivo per cui non l’ho postato).

E’ un film sui sensi: udito, olfatto, gusto, tatto, vista (non in quest’ordine, ma non importa). Sui cinque sensi, così come ci hanno abituato a pensare fin dalle scuole elementari: quelle sorta di antenne in grado di captare le informazioni che provengono dal mondo esterno – e interno – e di trasformarle in segnali che il sistema nervoso si occuperà poi di elaborare e di “tradurre” nei modi che noi tutti conosciamo per esperienza diretta (cfr. ad esempio: locale piccolo con DJ molto appassionato di musica elettronica ad alto volume; torta di mele/pere/papaya appena sfornata il secondo giorno di dieta pre-costume; gesso spezzato male contro la lavagna….).

Sembra però che questa storia dei cinque sensi non finisca così, semplicemente. Come spesso succede quando ci sono gruppi di elementi di dato numero, l’uomo non riesce a resistere alla tentazione di andare oltre: questo n+1, questo elemento in più, è destinato a raccogliere l’inspiegabile, l’imponderabile, l’oltre. Così è stato per i quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco + Milla Jovovich) e così non poteva non essere nel caso dei sensi.

Il concetto di sesto senso è stato tradizionalmente associato a capacità cosiddette paranormali, come la telepatia o la chiaroveggenza; ecco perché, infatti, ci si riferisce a queste ultime anche come a percezioni extrasensoriali. Non è raro che i giornali utilizzino l’idea di sesto senso per costruire titoli accattivanti, che suscitino l’attenzione dei lettori; da una breve ricerca sul web, si trovano ad esempio “Sesto senso, ecco il potere dell’amore” (Corriere.it) oppure “Potrebbe esistere il sesto senso” (Repubblica.it), ma la lista è molto più lunga e, tipicamente, rimanda a contenuti di dubbio valore scientifico – se alcuno. E poi c’è il film con Bruce Willis, che non era niente male (anche se il regista, che peraltro apprezzo molto, ha un nome ancora più inscrivibile dell’attrice di qualche riga fa).

Ultimamente, tuttavia, alcuni ricercatori neozelandesi si sono posti la seguente domanda: quali caratteristiche devono essere soddisfatte perché sia possibile porre una certa abilità sullo stesso piano dei cinque sensi? Dal punto di vista fisiologico, la domanda equivale a indagare se, come tatto, gusto, olfatto, odorato e udito, anche questa capacità abbia nel cervello una “zona dedicata” dove vengono elaborate le informazioni sensoriali, nonostante non esista un organo deputato al senso del numero come è invece il caso degli altri sensi. Nel caso di questa ricerca, la caratteristica indagata non è stata la telepatia, la chiaroveggenza o (come avrebbero voluto i giornalisti di Corriere.it) il potere dell’amore; i ricercatori si sono concentrati su un piano ben più “terra terra”, quello della cosiddetta numerosità.

Il concetto di numerosità indica l’abilità di cogliere “al volo” un numero di oggetti presenti in un insieme senza doverli contare uno ad uno.

gommoseFacciamo un esempio: quante sono le caramelle mostrate nella fotografia qui sopra? E’ molto probabile che non abbiate avuto nessun bisogno di contarle ma, a una prima occhiata, siate già stati in grado di fornire la risposta corretta – nella foto ci sono cinque, invitanti caramelle. Che per essere tecnicamente precisi si chiamano gommose, ma come scriveva Michael Ende “questa è un’altra storia, e dovremo raccontarla un’altra volta”.

Ecco: questa è la numerosità. Si tratta di un’abilità che decresce rapidamente all’aumentare degli oggetti, e superati i sei, sette oggetti sono ben pochi gli individui ai quali è sufficiente un’occhiata. E’ una capacità che si sviluppa già a partire dalla prima infanzia, ed è stata riscontrata anche in alcune scimmie; per questo motivo, si è diffusa tra i ricercatori l’idea che la numerosità sia in qualche modo “iscritta nel nostro DNA” e costituisca un vero e proprio senso del numero.

La tecnica usata nei casi in cui si vuole capire quali aree del cervello si mettano in funzione durante una specifica attività cognitiva è l’imaging a risonanza magnetica. Gli otto soggetti (sei uomini e due donne, sei destrorsi e due mancini – non si sa se una delle donne fosse mancina… ma forse non è molto rilevante ai fini dell’esperimento!) sono stati sottoposti a stimoli visivi come quelli rappresentati in figura; ai soggetti era richiesto soltanto di prestare attenzione alle immagini presentate, senza fornire alcun commento sulle stesse. Ogni stimolo durava 300 millisecondi; come mostrato in un esperimento compiuto già sul finire degli anni ’40, infatti, si tratta di un tempo insufficiente per contare uno a uno gli oggetti rappresentati.

numerosità

Come si può vedere nell’immagine, per evitare che i soggetti si abituassero agli schemi e non avessero più bisogno di “chiamare in causa” la numerosità, l’esperimento proponeva diverse varianti di uno schema simile: i cerchi potevano avere dimensione costante, essere distribuiti casualmente oppure raggruppati e, infine, potevano essere presenti altre forme geometriche (triangoli, rettangoli, asterischi…). Anche la superficie dei cerchi poteva variare secondo diversi fattori: l’area totale poteva restare costante all’aumentare del numero di cerchi (prima riga), oppure a essere costante poteva essere la circonferenza (terza riga).

Il risultato dell’esperimento è stato evidenziare che la numerosità coinvolge sempre una stessa area cerebrale, poco più grande di un francobollo, situata nella corteccia parietale posteriore. Sembra che, in tutti i soggetti, le decine di migliaia di neuroni coinvolti abbiano funzionato più o meno nello stesso modo: da un lato, lo spazio riservato era inversamente proporzionale al numero di elementi (forse perché, sul piano evolutivo, è più importante individuare rapidamente le piccole quantità); dall’altro, i neuroni dedicati all’identificazione delle quantità più piccole si trovavano sempre in uno stesso luogo all’interno dell’area deputata, mentre quelli al lavoro sulle quantità più grandi erano situati dalla parte opposta.

Sembra pertanto che esista un’organizzazione topografica della numerosità, proprio come se si trattasse di un sesto senso. Le mappe topografiche sono comuni nelle aree sensoriali e motorie del cervello, dove ritroviamo mappe organizzate per rappresentare la superficie della pelle, la posizione dei muscoli, il campo visivo eccetera. Solitamente, tutte queste mappe riflettono la struttura di un organo esterno (la retina, la coclea, la pelle), ma in questo caso la mappa è “emersa dal nulla” all’interno del cervello. Secondo gli autori dell’esperimento, questo fatto indica che sia presente una funzione cognitiva distinta.

La capacità di enumerare senza contare è una capacità biologica “iscritta” nel nostro cervello; quali potrebbero essere le influenze sull’apprendimento dell’aritmetica? E che dire di tutti gli altri casi in cui prendiamo decisioni sulla base di valutazioni numeriche, come nel caso delle scelte economiche? Sicuramente è opportuno che le ricerche in questo senso proseguano, e siano in grado di fornire risposte a queste domande e a tutte le altre che – come insegna l’esperienza – sorgeranno in concomitanza con ogni nuova scoperta.