Il titolo dell’ultimo libro del neuroscienziato Giorgio Vallortigara – “Pensieri della mosca con la testa storta” – mi avrebbe attirata anche se non avessi già conosciuto il suo autore o la collana Animalia delle edizioni Adelphi, continua fonte di meraviglie sempre superiori alle (peraltro già alte) aspettative.
Ovviamente, la prima cosa che ci si chiede quando l’occhio casca sulla copertina è: ma chi sarà mai la mosca con la testa storta? Per scoprirlo, dobbiamo aspettare un po’ di pagine, ma vi assicuro che ne vale la pena.
Quando finalmente arriviamo a capire perché un esperimento del 1950 ha avuto esiti assolutamente attuali, grazie al percorso che ci ha preparato con cura l’autore ne possiamo apprezzare tutta la portata.
Si può parlare di spoiler nel caso di un saggio? Forse no, ma nel dubbio non voglio rovinarvi la sorpresa. Sappiate soltanto che questo esperimento che dà il titolo al libro è stato ideato dall’etologo Erich von Holst, meno noto ma altrettanto importante del collega e amico Konrad Lorenz.
Il comportamento della mosca dalla testa storta, semplificando, mette in luce la differenza che esiste tra gli stimoli provenienti dall’esterno e dall’interno del corpo. Questo discrimine, che è stato necessario operare quando gli animali hanno iniziato a muoversi nell’ambiente circostante, secondo l’autore ne ha determinato un altro: quello tra percezione e sensazione. Che no, non sono la stessa cosa.
Sposando, elaborandola, un’idea dello psicologo evoluzionista Nicholas Humphrey, Vallortigara ci mostra come questo potrebbe avere a sua volta portato all’emergere di ciò che chiamiamo coscienza.
E se si aggiunge che è proprio di Humphrey il secondo libro che ho tradotto nella mia vita – si trattava di Rosso. Uno studio sulla coscienza, ormai fuori commercio perché uscito nel 2008 – capirete perché la cosa mi ha un po’ emozionata…
Immagine di copertina di Mahmud Ahsan via Unsplash