Grazie al suo libro Ultimi pensieri, che ho da poco finito di tradurre per Edizioni Dedalo, ho scoperto che il matematico e filosofo Henri Poincaré, una delle figure più importanti della storia del pensiero occidentale che come potete vedere nell’immagine qui accanto un tempo lontano è stato anche lui un bambino, non si è affatto limitato a occuparsi – per l’appunto – di matematica e filosofia, nonostante avesse molto da dire sugli argomenti, ma ha anche scritto parole illuminanti ed estremamente attuali sui rapporti fra scienza e morale. Con un’osservazione conclusiva che quasi quasi sconfina nella psicanalisi.
La scienza ci mette costantemente in relazione con qualcosa di più grande di noi; ci offre uno spettacolo sempre nuovo e sempre più vasto: dietro le cose più grandi che ci mostra, ci fa indovinare qualcosa di ancora più grande. Questo spettacolo è per noi fonte di gioia, gioia che però non ci rende dimentichi di noi stessi; per questo motivo, la scienza è moralmente sana.
Chi ha gustato, chi ha visto, anche solo da lontano, la splendida armonia delle leggi naturali, è sicuramente meglio disposto di un altro a fare poco caso ai propri piccoli interessi egoistici; costui avrà un ideale che ama più di se stesso, e questo è un terreno fertile per la costruzione di un’etica. Quest’uomo, per il suo ideale, lavorerà senza risparmiarsi e senza aspettarsi alcuna delle ricompense grossolane che invece per altri uomini sono tutto ciò che conta; quando avrà ormai preso l’abitudine a disinteressarsi, quest’abitudine lo seguirà dappertutto e la sua intera esistenza ne resterà impregnata.
Tanto più che la passione che lo ispira è l’amore della verità; un tale amore non è forse di per sé un’etica? Esiste qualcosa di più importante da combattere della menzogna, vizio così frequente nell’uomo primitivo, e tra i più degradanti? Quando avremo acquisito l’abitudine al metodo scientifico, alla sua precisione scrupolosa; quando avremo l’orrore di qualsiasi “aiutino” dato agli esperimenti; quando ci saremo abituati a temere come il peggior disonore il rimprovero di aver, per quanto innocentemente, truccato i nostri risultati, e quando questo sarà diventato per noi un tratto professionale indelebile, una seconda natura. Ebbene: quando tutto ciò sarà successo, non ci porteremo forse dietro in tutte le nostre azioni questa preoccupazione per la verità assoluta, fino a non comprendere più cosa spinga un uomo a mentire? E non è forse questo il modo migliore per acquisire la più rara, la più difficile di tutte le sincerità, ossia quella che consiste nel non ingannare noi stessi?