.… seconda? Perché, c’è forse stata una prima rivoluzione quantistica? E di cosa si tratterà mai?
Ho scoperto che soltanto di recente, forse nell’ultimo anno o due, la meccanica quantistica è stata inserita nel programma di studio dell’ultimo anno delle scuole superiori (soltanto licei oppure anche altri istituti? Non sono riuscita a capirlo). Prima di allora, era evidentemente ritenuto un argomento di cui non era necessario sapere alcunché per potersi dichiarare persona mediamente colta; io stessa, diplomatami nella seconda metà degli anni Novanta, ne ho sentito parlare per la prima volta seriamente soltanto al terzo anno di università – peccato che io abbia studiato fisica, cosa che non mi rende un campione particolarmente rappresentativo della società italiana.
Nel mio caso, addirittura, la prima rivoluzione quantistica ebbe un effetto talmente dirompente da farmi decidere di studiarla per la tesi di laurea prima e poi, grazie al mio professore e a una sua collaboratrice, per scriverci sopra un libro.
Questo libro, in realtà, non era sulla prima, bensì sui fenomeni alla base di una ipotetica seconda rivoluzione quantistica; quando iniziammo a lavorarci, nel 2002/2003, la crittografia quantistica, il teletrasporto e il computer quantistico erano realtà teoricamente abbastanza consolidate ma ancora lontana sembrava, all’epoca, una loro implementazione pratica che le portasse nelle nostre vite quotidiane. Era un po’ come se fossimo ancora nell’era dell’EDSAC, uno dei primi computer elettronici digitali, e qualcuno ci avesse detto che, di lì a pochi decenni, aggeggi ben più potenti di quello anziché occupare una stanza di 20 metri quadrati sarebbero stati nelle tasche di gran parte della popolazione.
In questi ultimi anni, al contrario, ci sono stati risultati sperimentali rilevanti che hanno portato a investimenti pubblici e privati di miliardi di dollari (e di euro, perché l’Europa almeno per ora non è certo rimasta indietro); i governi hanno iniziato a sospettare che queste tecnologie potrebbero mettere in pericolo la sicurezza nazionale, e le multinazionali (insieme ad alcune startup di origine universitaria, come questa) hanno intravisto tutti i possibili vantaggi commerciali.
Un computer quantistico sfrutta alcune peculiari caratteristiche del mondo microscopico per risolvere problemi che, con un computer “normale”, sarebbero impossibili; questo non perché non siamo in grado di determinare i procedimenti per trovarne la soluzione, ma perché questi procedimenti richiederebbero troppo tempo (e quando scrivo troppo intendo migliaia se non addirittura milioni di anni di calcoli). Un apparecchio di questo tipo, a regime, manderebbe a gambe all’aria praticamente tutti i sistemi oggi usati per proteggere la trasmissione dei dati, anche quelli più all’avanguardia; per questo motivo, qualche riga fa, accennavo a un interesse da parte dei governi circa la protezione della riservatezza. Il mondo, almeno per quanto ne sappiamo, non è ancora dotato di un computer quantistico che possa costituire una minaccia concreta, ma secondo gli esperti è soltanto questione di poco. Siamo dunque condannati a doverci sottomettere a una sorta di Grande Fratello Quantistico?
Ecco che entra prepotentemente in campo il mio vecchio amore: la crittografia quantistica. Si tratta, molto brevemente e troppo grossolanamente (è un po’ come fare uno schizzo del mio fidanzatino del liceo con la mano sinistra, considerato che non sono mancina), di un sistema di protezione dei dati che da un lato è “matematicamente sicuro”, ossia assolutamente indecifrabile da qualsiasi tecnologia fantascientifica che potrebbe venire inventata da qui all’eternità, e dall’altro consente, come simpatico effetto collaterale, di accorgersi se, durante la trasmissione dei dati, qualcuno ha cercato di intercettarli.
La battaglia per la supremazia sulla privacy, pertanto, sembra ancora aperta.
I principi fisici alla base di queste applicazioni tecnologiche non sono insormontabilmente difficili da spiegare, ed è possibile farlo anche senza l’utilizzo di formule matematiche (note per il loro effetto respingente). Non pensiate però che la meccanica quantistica sia facile. Citando senza molta orginalità Richard Feynman (da Il carattere della legge fisica, traduzione mia):
I giornali hanno scritto che un tempo, in tutto il mondo, soltanto dodici individui capivano la teoria della relatività. Io non credo sia mai esistito un tempo del genere. Può esserci stato un tempo in cui soltanto un uomo la capiva, perché era colui che l’aveva intuita per primo, ma dopo che ebbe pubblicato il suo articolo e la gente iniziò a leggerlo, la teoria della relatività, in un modo o nell’altro, fu compresa da molti; sicuramente da più di dodici persone. D’altro canto, penso di poter affermare con una certa tranquillità che nessuno capisca la meccanica quantistica.
Ecco perché ho scelto di non spiegare, in questo articolo, alcunché sul funzionamento della natura a livello microscopico; rimando piuttosto a Alla scoperta della crittografia quantistica, a un libro che ho tradotto per edizioni Dedalo e in particolar modo al più difficile, ma anche molto più intrigante, Il programma dell’Universo di Seth Lloyd, che si autodefinisce “meccanico quantistico” ed è uno dei padri fondatori di questa seconda rivoluzione quantistica (qui alcuni dei suoi risultati in campo scientifico).
Trovo tuttavia che anche chi non è interessato ad approfondire la questione da un punto di vista più teorico dovrebbe sapere che, là fuori, stanno per succedere cose che in un modo o nell’altro cambieranno la nostra vita così come, dopo la prima rivoluzione quantistica, fecero il laser e il transistor. Se non di più. E mi chiedo perché nessuno, o quasi, ne parli, oltre agli addetti ai lavori. Forse i gruppi di ricerca non hanno uffici stampa abbastanza ben introdotti…
Anche perché poi, chissà, magari anche in alcuni di quelli inizialmente poco interessati, una volta compresa la portata di questa nuova rivoluzione dei quanti, un po’ di curiosità inizierà a fare capolino. E sarà allora tornato per me il momento di scriverci sopra qualcosa, soprattutto dal momento che tradizionalmente, in teoria dell’informazione, mentre il mittente e il destinatario di un messaggio sono soprannominati rispettivamente Alice e Bob, l’intercettatore (in inglese eavesdropper) come poteva chiamarsi se non Eva?