Nell’agosto del 1835, il quotidiano New York Sun pubblicò il primo di sei articoli sulla presunta scoperta della presenza, sulla Luna, di una vera e propria civiltà. Autore di questo eccezionale ritrovamento sarebbe stato il famoso astronomo John Herschel, figlio dello scopritore del pianeta Urano.
Secondo l’articolo, un telescopio dotato di un principio del tutto nuovo aveva consentito a Herschel di osservare come la Luna fosse ricoperta da grandi foreste, mari interni e montagne di quarzo e ametista su cui passeggiavano unicorni blu; l’astronomo, addirittura, era riuscito ad avvistare forme di vita intelligente: creature alate che vivevano in capanne e si erano meritate il nome di “uomini pipistrelli”….
Gli articoli furono poi raccolti in un pamphlet con una tiratura di oltre 60 mila copie, che andarono esaurite in meno di un mese; il testo fu tradotto in italiano l’anno successivo, con un estratto dei primi quattro articoli e il titolo “Delle scoperte fatte nella luna dal dottor Giovanni Herschel”.
L’autore della burla, il giornalista Richard Adams Locke, sicuramente desiderava creare una storia che avrebbe fatto aumentare le vendite del proprio giornale (come successe); ancora maggiore, tuttavia, fu la spinta a scrivere una vera e propria satira con bersaglio il reverendo Thomas Dick, detto il “filosofo cristiano” e sostenuto anche da intellettuali del calibro di Ralph Waldo Emerson; secondo Dick, il sistema solare era densamente popolato e la Luna, da sola, avrebbe ospitato oltre 4 miliardi di abitanti.
Quello che è passato alla storia come il “grande imbroglio della Luna” è però soltanto uno di una lunga serie di tentativi di popolare il nostro satellite di creature ed elementi naturali.
La capacità dell’occhio umano medio di percepire particolari sul nostro satellite è limitata, per ragioni ottiche e fisiologiche, a oggetti dotati di dimensioni pari ad almeno 300 chilometri e separati da distanze analoghe. Fino all’avvento del cannocchiale agli inizi del XVII secolo, pertanto, visibile a occhio nudo ma di fatto inaccessibile, la Luna è stata un ottimo candidato per suscitare fantasie di ogni genere, talvolta dai risvolti utopici: un mondo non sempre e non necessariamente ideale, ma che ha consentito ad artisti e scrittori di esprimere, oltre alla propria fantasia e verve satirica, anche le convinzioni politiche, scientifiche o religiose.
Tra questi il primo, in ordine cronologico, fu il greco Luciano di Samosata, vissuto nel II secolo e quasi contemporaneo di Tolomeo, che nella sua Storia Vera racconta di una nave sollevata da una tempesta in alto in alto, fino alla Luna. Ricchi o poveri, ma tutti di sesso maschile, secondo Luciano i seleniti assomigliano agli esseri umani, a parte qualche dettaglio anatomico piuttosto comico: data l’assenza delle donne, i bambini nascono nientemeno che dai polpacci!
Come probabilmente ricordate dai tempi della scuola, quattordici secoli dopo, nel trentaquattresimo canto dell’Orlando furioso dell’Ariosto, Astolfo vola sulla Luna alla ricerca del senno perduto da suo cugino Orlando: lo ritrova in un’ampolla nel vallone dove “ciò che si perde o per nostro diffetto, o per colpa di tempo o di Fortuna: ciò che si perde qui, là si raguna.” Come racconta Italo Calvino nella sua celebre parafrasi del poema ariosteo:
La Luna è un mondo grande come il nostro, mari compresi. Vi sono fiumi, laghi, pianure, città, castelli, come da noi: eppure altri da quelli nostri. Terra e Luna, così come si scambiano dimensioni e immagine, così invertono le loro funzioni: vista di quassù, è la Terra che può esser detta il mondo della Luna; se la ragione degli uomini è quassù che si conserva, vuol dire che sulla Terra non è rimasta che pazzia.
[Probabilmente, lo confesso, questo è l’unico dettaglio che io mi ricordavo del capolavoro ariosteo… ma un dettaglio è pur sempre meglio di niente!]
La prima raffigurazione conosciuta della Luna vista al telescopio, che precede di qualche mese i celeberrimi disegni galileiani della fine del 1609, fu eseguita da Thomas Harriot, geniale matematico e astronomo inglese. Harriot, tuttavia, non pubblicò nessuno dei suoi importanti contributi scientifici nei campi dell’astronomia e dell’ottica; le sue carte, ritrovate solamente nel secolo successivo, comprendevano anche alcuni schizzi astronomici eseguiti al cannocchiale tra il 1609 e il 1613, il più significativo dei quali fu pubblicato soltanto a metà del XX secolo.
Rispetto a Harriot, impegnato a disegnare una mappa della Luna (grazie alle proprie competenze cartografiche acquisite nel corso di una spedizione esplorativa), Galileo riuscì però a compiere un passo ulteriore. Il grande scienziato, infatti, evidenziò come il susseguirsi di luci e ombre sulla superficie lunare fossero il segnale di una superficie scabra, tridimensionale, simile quella terrestre, e sfruttò questa evidenza per dimostrare che, d’accordo con la teoria copernicana e in contrasto con quella aristotelica ancora dominante, la Luna fosse in effetti un satellite del nostro pianeta, appartenente all’imperfetto “mondo sublunare”.
La convinzione che la Luna avesse mari e continenti, altopiani e valli proprio come la Terra era comune nel ristretto circolo dei copernicani più radicali come Galileo e Harriot, così come Keplero e il meno noto William Gilbert. Quest’ultimo, noto ancora oggi per i suoi lavori nell’ambito del magnetismo, disegnò la sua Selenografia, la primissima mappa della Luna dell’epoca precedente all’introduzione del cannocchiale, una cinquantina di anni prima di Galileo.
Anche Keplero ebbe un ruolo da protagonista nelle utopie ambientate sulla Luna. Ben pochi sanno che, al di là dei suoi lavori scientifici, Keplero fu l’autore di un’opera ispiratrice di un nuovo genere letterario, la fantascienza: si tratta del racconto, scritto in latino verso il 1610, di un viaggio dalla Terra alla Luna, intitolato Somnium e pubblicato postumo nel 1634. La scelta di chiamare l’astro Levania, termine di origine ebraica, è soltanto uno dei numerosi tratti estremamente originali dell’opera, scritta con l’intento di divulgare la teoria copernicana e sostenere le tesi anti-tolemaiche. Per prima cosa, Keplero divide il mondo lunare in due emisferi: quello rivolto verso la Terra (chiamata Volva), abitato dai subvulvani, e quello a noi perennemente invisibile in cui risiedono i privolvani. Con inoppugnabili argomentazioni ottiche, l’autore dimostra che la natura della superficie lunare è di tipo terrestre; in particolare, i crateri lunari sono opere ciclopiche di seleniti previdenti, erette a protezione dai raggi cocenti e implacabili del Sole, incombente ogni mese per ben 15 giorni.
Fra parentesi, esiste un progetto collaborativo dedicato alla traduzione in lingua inglese del testo di Keplero: The Somnium Project; gli autori/traduttori sono molto attivi anche su Twitter e il loro feed è sempre ricco di spunti su Keplero e sull’astronomia (@SomniumProject).
Il Somnium fu fonte d’ispirazione, negli anni successivi, per una nutrita serie di autori aperti all’innovazione scientifica che, attraverso racconti solo apparentemente fantastici, combattevano la concezione aristotelico-tolemaica del mondo oppure propugnavano le proprie idee filosofiche e religiose. Nel famoso The man in the Moone del vescovo Francis Godwin, ad esempio, sono narrate le meravigliose avventure dello spagnolo Domingo Gonsales, trasportato sul nostro satellite da una macchina volante trainata da uccelli straordinari, i gansas. Qui Gonsales scopre l’esistenza di un popolo virtuoso (e cristiano); i pochi seleniti propensi ai vizi vengono cacciati via e mandati sulla Terra.
Il personaggio di Domingo Gonsales ricomparirà, con un ruolo non marginale ma sicuramente discutibile, nel famoso racconto fantastico di Hector Savinien Cyrano de Bergerac: L’altro mondo, ovvero stati e imperi della Luna, opera uscita postuma nel 1657. Il viaggio sulla Luna offre a Cyrano l’occasione di esporre le proprie teorie filosofiche e soprattutto di esercitare una satira della società e una critica radicale delle istituzioni politiche del tempo. Lo stile libertino dell’autore raggiunge il culmine della trasgressione e dell’autoironia quando racconta che i seleniti, che lo credono una femmina di scimmia, pretendono da lui aberranti rapporti carnali a fini procreativi con un partner d’eccezione: proprio il Domingo Gonsales protagonista del romanzo di Godwin!
Per comprendere l’influenza della Luna sull’immaginario popolare è sufficiente pensare che ancora oggi c’è chi sostiene che gli allunaggi delle missioni Apollo siano stati in realtà degli imbrogli abilmente orchestrati in appositi studios hollywoodiani e che la NASA non sia mai riuscita a far passeggiare esseri umani sul nostro satellite e tantomeno a prelevare campioni di roccia lunare. Chissà, forse questi entusiasti delle teorie complottiste in fondo in fondo nascondono animi romantici che non vogliono ricordare le aride distese polverose filmate dagli astronauti americani e preferiscono, ancora nel ventunesimo secolo, immaginare che la nostra compagna che splende nel cielo notturno sia il luogo fantastico dove i sogni possono diventare realtà.
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