Da bambina, la mia consapevolezza del fatto che all’interno del mio corpo ci fossero delle “cose” bene precise, e che anche se invisibili queste “cose” mi accomunassero ai miei simili, si sviluppò grazie a un libro che oggi definirebbero “pop-up” che giaceva semi dimenticato nella libreria della casa di campagna dei miei nonni. Pubblicato con ogni probabilità negli anni quaranta o cinquanta, questo Atlante del corpo umano conteneva, oltre a chilometri di righe di parole per me all’epoca ben poco interessanti, curiosi disegni di corpi che si potevano letteralmente aprire, rivelando al loro interno strati su strati di organi debitamente etichettati (in quello che credo fosse latino).
Da adulta, ho poi scoperto che questo genere di iconografia anatomica è una pratica molto antica, quasi quanto lo stesso libro stampato, e risale al sedicesimo secolo.
In un’epoca in cui l’uomo era già un fine conoscitore di alcuni degli aspetti più reconditi di se stesso e della Natura, ma la tecnologia così come la intendiamo noi oggi era ancora molto in là da venire, le riproduzioni di immagini erano caratterizzate da una limitante bidimensionalità. I primi a cercare di superare questo vincolo furono gli astronomi medievali che, grazie alle volvelle come quella mostrata in figura, sovrapponendo tre fogli di carta a forma di disco erano rapidamente in grado di correlare più dati fra loro (tipicamente, il giorno dell’anno, la fase lunare e la posizione della Luna sull’eclittica).
La tecnica di sovrapporre più strati di fogli per conferire alle immagini una tridimensionalità che di per sé non avrebbero fu ripresa ben presto nei trattati di medicina.
In un primo momento, prevalse l’uso di fogli volanti come quelli inseriti nel De humani corporis fabrica libri septem di Andrea Vesalio, pubblicato a Venezia nel 1543 (incidentalmente, proprio lo stesso anno in cui fu dato alle stampe il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, in cui era esposta per la prima volta la teoria eliocentrica). Vesalio, ritenuto il fondatore dell’anatomia, utilizzava questi fogli volanti come strumento didattico nelle lezioni di anatomia e chirurgia presso l’Università di Padova e li ritenne talmente utili a fini didattici da volerli riprodurre nella sua opera più importante.
A poco a poco, i fogli volanti diventarono parte integrante dei volumi grazie a innovazioni nelle tecniche di rilegatura degli stessi. Inizialmente, i disegni erano colorati a mano, ma col tempo, grazie ai progressi della tecnologia litografica, i libri di iconografia anatomica si affollarono di immagini con numerosi strati – fino a nove o dieci, nel caso di alcuni trattati di ostetricia del XIX secolo.
I libri animati, intesi originariamente come strumenti educativi, divennero ben presto di supporto ai medici per uno studio e una discussione più approfonditi di tutte le complessità del corpo umano. La lettura di questi libri, infatti, imita a tutti gli effetti l’azione della dissezione anatomica e invita, per così dire, a prendere parte a un’autopsia virtuale.
Gli autori di questi testi desideravano far sì che i gesti del lettore fossero analoghi a quelli compiuti dai medici nell’esame delle varie parti del corpo e costruivano le immagini e ne disponevano gli strati in modo da imitare con notevole verosimiglianza la sequenzialità delle pratiche mediche; in alcuni casi, addirittura, l’atto di sfogliare i vari strati poteva essere reso tecnicamente più facile o più difficile a seconda dell’elasticità delle parti del corpo trattate.
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo iniziò la cosiddetta età dell’oro delle immagini anatomiche mobili; questa pratica si diffuse in particolare presso quanti predicavano le capacità di guarigione per mezzo dell’omeopatia e di pratiche igieniche, come il naturopata tedesco Friedrich Bilz o l’inventore dei corn-flakes John Edward Kellogg, accanito sostenitore dei vantaggi dell’idroterapia e della dieta naturale. Pienamente consapevoli dell’interesse suscitato nel pubblico generale da queste illustrazioni e del loro potenziale educativo, questi pionieri ne fecero un uso sempre più sistematico per dare impulso alla diffusione delle proprie convinzioni.
Fin dall’inizio, tuttavia, l’attenzione degli anatomisti e, di conseguenza, degli autori di questo tipo di pubblicazioni, fu concentrata sugli aspetti più reconditi della femminilità. Ne è dimostrazione la copertina del De humani corporis fabrica (a lato), in cui si mostra lo stesso autore, Andrea Vesalio, indicare il ventre (vuoto) di una prostituta che ha appena dissezionato; la donna, infatti, aveva inutilmente spergiurato di essere incinta nella speranza di sfuggire all’impiccagione.
Alcuni testi di età vittoriana, in particolare, mostrano numerose illustrazioni multistrato dell’anatomia femminile durante la gravidanza ma, se si esclude il caso del feto, non compare nemmeno un centimetro quadrato di pelle nuda.
Sul finire dell’Ottocento, quando aumentò la pressione pubblica verso una maggior diffusione delle conoscenze scientifiche, autori ed editori di libri anatomici animati si trovarono in balia di due spinte contrastanti: da un lato, il pubblico sempre più desideroso di sapere, vedere e “toccare con mano” le parti interne del proprio corpo e dall’altro la censura dei conservatori, pronti ad accusarli di intenzionale oscenità. Alcuni editori decisero di risolvere il dilemma dotando i volumi di veri e propri lucchetti, di modo che le illustrazioni esplicite e i consigli in materia sessuale fossero sottoposti a un filtro e a un ulteriore controllo da parte dei più puritani.
Qualche anno fa, la Duke University ha dedicato a questi oggetti così affascinanti, protagonisti dell’iconografia anatomica, una vera e propria mostra, Anatomie animate, da cui sono tratte le illustrazioni utilizzate nell’articolo.
Immagini courtesy of Duke University Libraries