Quella grande compositrice di parole ed emozioni profonde che fu Emily Dickinson ci ricorda:
Che sia l’amore tutto ciò che esiste
E’ ciò che noi sappiamo dell’amore
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.
Tre psic* (-hiatri, -ologi e -oterapeuti) raccontano in A General Theory of love l’esperienza raccolta in decenni di lavoro clinico: si sono spinti al di là degli specifici campi di competenza e sono andati alla scoperta della storia del nostro cervello, anzi: dei nostri cervelli – il cervello rettiliano, il cervello limbico e neocorticale. E hanno cercato di capire le caratteristiche di ciascuno dal punto di vista dell’emotività, scoprendo cose che probabilmente sapevano già, ma corroborandole con i risultati ottenuti in discipline “altre”.
Fin dall’infanzia, il nostro cervello si lega indissolubilmente a quelli delle persone che ci circondano, e questo legame profondo e continuativo altera profondamente e per sempre la struttura del nostro cervello, instaurando schemi emotivi e comportamentali che ci accompagneranno per tutta la vita. Questa – che per alcuni potrebbe apparire come una condanna, qualora la situazione iniziale non sia delle più fortunate – è anche una delle ragioni (forse la più importante) per cui, se all’inizio della vita per così dire le cose non sono andate bene è ancora possibile recuperare; sullo stesso principio infatti si basano i rapporti d’amore costruiti da adulti e, nel caso si renda necessario, anche i rapporti professionali con un terapeuta. L’infanzia è importante ma non irrevocabilmente determinante, per fortuna.
A General Theory of love è un libro che forse non ha cambiato, come prometteva la quarta di copertina, “il modo in cui penso all’intimità”, ma sicuramente mi ha fatto riflettere a lungo su idee che erano già mie anche se, in qualche, modo prive di un riscontro; e a parte questo, è stata una lettura estremamente piacevole e arricchente per la bellezza della scrittura e delle numerose citazioni e poesie.